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lunedì 12 maggio 2014

Estratto per disillusi







Fiera ciula

Fra i tanti pudori che negli ultimi anni sono venuti a cadere in favore di belle franchezze gluteomammarie, ciclosanitarie, ascellari, intestinali, sessuali, psicotrivellanti e lagnonarcisistiche, bisogna mettere anche il pudore che un tempo l’uomo provava nei riguardi della propria stupidità. Essersi sbagliati, illusi, aver valutato male persone e situazioni, essersi lasciati ingannare dalle apparenze o trascinare dagli entusiasmi , non aver previsto gli effetti pur concepibili di certe cause, tutto questo era fino a ieri materia indiscussa di contrizione e vergogna. Il colpevole si mordeva le mani, si dava pugni in testa, non trovava pace, ma guarda che cretino sono stato, ma come ho potuto essere così cieco, così bestia. In casi estremi, il tormento era tale da portare al suicidio; ma senza arrivare a tanto, l’errore veniva vissuto come mortificazione cocente, da tenere il più possibile segreta. I familiari, gli amici intimi,cercavano di consolare il poveretto con un repertorio spicciolo e antico di saggezza, errare umanum est, nessuno è infallibile, ti servirà di lezione per un’altra volta, nella vita non si finisce mai d’imparare, ecc. E lui, cereo o paonazzo a seconda del temperamento, si raccomandava con un filo di voce che la cosa non venisse almeno ripetuta in giro, per carità!, e svicolava nei corridoi, passava sull’altro marciapiede, a volte cambiava abitudini, domicilio, per evitare i testimoni della sua stoltezza, della sua grullaggine. Di questo atteggiamento verso l’errore non si trova quasi più traccia nella vita di oggi,come se ci fosse stato un movimento di liberazione dell’imbecille, una vera e propria emancipazione del balengo. Croccanti alibi d’ordine politico e sociologico, diffusi tra la gente come gli slogan sui biscotti, hanno senza dubbio dato una buona spinta in tal senso. Ebbene sì, Ernesta, mi sono lasciato rifilare il falso cronometro d’oro, ma solo perché in questa società schifosamente mercificata il dialogo tra venditore e compratore si configura ormai ecc. Oppure: mamma, se ho abbandonato marito e figli per uno scroccone che si è subito venduto la mia vecchia Seicento nonché i miei vecchi mocassini di Ferragamo, ciò va inteso tuttavia come parte di quel grande, irreversibile processo che coinvolge le strutture della società borghese e che io, in prima persona, ecc. Alibi traballanti, si dirà, povere scuse. Ma intanto lo stupido gira a testa alta, ha «preso coscienza» anche lui, s’è intrufolato tra le schiere di quanti si ribellano a secolari emarginazioni sessuali, etniche, classiste, nazionali, religiose (a volte si ha l’impressione che abbia preso la testa del corteo) e anche lui non prova più il minimo senso di colpa per la sua «diversità». Il fenomeno è particolarmente vistoso nellefaccende pubbliche. La riforma sanitaria sprofonda in una voragine di sprechi, ruberie , inefficienze? Il ministro o burocrate o capopartito che l’ha fermamente propugnata contro le più ovvie e assennate obiezioni, si presenta ai microfoni con un sereno sorriso: è vero, sarà stato un errore, ma non lo rinnego, non me ne pento, in quel particolare momento, data quella particolare situazione, quella scelta aveva un senso preciso cui ancora oggi aderisco pienamente. Come dire: sono stato un cretino ieri e sono pronto a esserlo di nuovo domani. La riforma universitaria si concentra in carognerie e iniquità burocratiche ben più gravi che nell’epoca «baronale», produce catastrofici abbassamenti nei livelli d’insegnamento e apprendimento, crea masse di spostati e disoccupati; ma gli uomini che la vollero continuano, di notte, a dormire senza sonniferi, e di giorno a proclamarsi disponibili per nuove fallimentari iniziative. Così è avvenuto per le autostrade che nessuno percorre, o per quelle – indispensabili – che non sono invece state costruite; così è avvenuto per i manicomi, demoliti in nome di radiose ragioni umanitarie che tuttora consentono ai responsabili di relegare nell’ombra la tragica realtà dei casi singoli; così è avvenuto per l’edilizia, finalmente paralizzata a furia di leggi e provvedimenti che non hanno mai fatto arrossire nessuno dei proponenti. E in cento altri rami dell’umana attività, dai servizi pubblici al commercio con l’estero, dal fisco alle carceri , dalla protezione civile agli uffici di collocamento, ritroviamo lo stesso meccanismo: una situazione impossibile, un intervento correttivo che peggiora enormemente le cose, e un solenne signore che ci viene a dire: ho preso una colossale cantonata ma non me ne vergogno affatto. I coccodrilli, insomma, non piangono nemmeno più. Il cittadino frettolosamente qualunquista attribuisce tale straordinaria mutazione a mera ipocrisia, a semplice bronzo-faccismo, e vede, dietro ogni macroerrore, dei loschi macrotornaconti. E certamente gl’interessi di partito e di portafoglio giocano una parte considerevole nello sfacelo italiano. Ma non tanto grande, a noi pare, quanto quella giocata dalla stupidità. Siamo convinti che se si facessero i conti in tasca ai distruttori nazionali si scoprirebbe che la maggioranza ha le mani pulite . Non hanno ricavato niente, nemmeno un monolocale a Ladispoli, dalle loro epiche malefatte. Visigoti, ma quasi tutti probi. Lanzichenecchi, ma per lo più immacolati. Io non credevo, non immaginavo, non prevedevo, non mi aspettavo, ripetono candidamente tra le rovine fumanti dove si aggirano sciacalli e avvoltoi. Si coglie a volte una sfumatura di superiorità, nei loro imperterriti accenti; come se ci fosse del merito a ignorare la parte nera dell’uomo, a non mettere in preventivo furbi, ladri, profittatori, prepotenti, assassini, a sedersi al tavolo del poker, nel notorio covo dei bari e dei tagliaborse, con lo spirito di chi affronta la zia in una partita a rubamazzo. È la retorica superiorità del «fesso in buona fede», comica e micidiale figura che ha una sua nicchia nella storia nazionale. Ero interventista, volevo redimere Trento e Trieste, la guerra mi pareva una bella avventura; è vero, c’è poi stato un mezzo milione abbondante di morti, ma quanto era più luminoso il mio ideale dei tristi calcoli pacifisti! Ho fatto la marcia su Roma, ho creduto sinceramente nel fascismo e nel duce, ma com’era più vitale, più nobile, più gioioso quel mio slancio, in confronto ai gretti, smorti compromessi del gioco democratico! Sono stato stalinista, ho approvato entusiasticamente gulag, purghe, repressioni, invasioni, ho marciato senza un dubbio, senza un sospetto, per il Vietnam, la Cambogia, l’Angola, l’Iran, ma non rimpiango niente, lo rifarei daccapo, sono qui col cuore in mano pronto a offrirlo ad altri fanatici, altri profeti, altri massacratori, altri sanguinari demagoghi. È una posizione che assume spesso i toni del rigore moralistico, ma che non è senza legami col gioco delle tre carte. Mentre lo spettatore viene distratto da chiacchiere sull’ottimismo, la speranza, l’onestà (virtù di tutto rispetto, ma che non c’entrano niente), la subdola mano riesce a cambiare letteralmente, la scala di confronto: la dabbenaggine, anziché contrapporsi all’intelligenza, alla prudenza, all’oculatezza, si misura con cinismo, accidia , viltà, disonestà, meschinità d’animo, ottenendo comode vittorie e l’impulso a riprodursi senza fine, orgogliosamente. Per definire gli imbecilli, non certo rari neanche allora, i vecchi piemontesi usavano un vivace accoppiamento di parole: quello, dicevano, è una fiera ciula. Dove fiera stava per «cospicua»,«eccezionale»,«ammirabile nel suo genere », come registra il Tommaseo. Nessuno poteva immaginare che col tempo sarebbe cresciuta una varietà di ciula impudicamente, disastrosamente fiera di esserlo.

Fruttero; Lucentini (2010-10-07). Il cretino in sintesi (Oscar bestsellers) (Italian Edition) (Kindle Locations 202-256). Mondadori. Kindle Edition. 

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